Dal diario di viaggio di Franco
Raccontano di lui cose straordinarie. Come quando lo videro scaraventare nel cortile del suo ospedale una icona della Madonna e ridurla a frammenti con bastonate rabbiose. Per giorni e giorni l’aveva pregata con le sue mani callose, per notti e notti l’aveva supplicata fiducioso nel suo affetto di Madre. Ma il bambino era morto ugualmente. Lo aveva accudito con le lacrime agli occhi per lunghi giorni e per lunghe notti insonni. Era malato di AIDS, ed era solo un bambino. Poi, certo, lo videro raccogliere i frammenti e ricomporre l’icona al suo posto. Ma solo dopo qualche tempo, quando la punizione gli fu sembrata sufficiente e lui si sentì capace di perdonarLa. Raccontano anche di quando lo udirono urlare così indignato, che persino le pietre tremarono della sua stessa rabbia: “Non si compra la dignità dei poveri, la dignità dei poveri non è in vendita!”. Aveva ricevuto la visita della delegazione di una ONG francese, per il suo ospedale gli avevano messo sul piatto svariati milioni di Euro. Che però, detratte le spese di rappresentanza e quelle per gli stipendi, quelle per le auto di servizio, quelle per gli affitti e quelle per chissà cos’altro, si erano in realtà ridotti a pochi inutili spiccioli. Lui stesso, poi, ci ha raccontato di quando ad una malata del suo “vedovario” parlò del Paradiso in maniera così convincente, che la poveretta decise ostinatamente di non curarsi più per andarci subito, voleva riabbracciare il prima possibile i suoi cari che certamente la stavano aspettando. Abbiamo incontrato Padre Vincenzo Luise oggi, presso il suo ospedale per i malati di AIDS. I veterani del gruppo erano tutti eccitati e ansiosi di rivederlo. Tanto ne parlavano con affetto, quasi con devozione, che con il passare delle ore sono cresciute fin quasi allo spasimo la mia curiosità e la voglia di conoscere la sua storia, di chiedergli “perché ?”. Alla fine lo abbiamo incontrato nel loggiato della sua residenza, alla periferia di Ouaga. Un settantenne piccolo, tracagnotto, con una lunga barba bianca screziata di giallo. Indossava una tunica grigia, consunta, a mezze maniche, macchiata da numerose patacche di sporco, che terminava poco sotto le ginocchia, lasciando evidenti due gambe sottili, quasi impertinenti, entrambe coperte da calze elastiche. Alla vita portava un cinturone di cuoio, al quale era appeso non una croce o un rosario, ma un coltellaccio, che subito ha tenuto a mostrarci tirandolo fuori dalla custodia. Era quello il suo crocifisso, con il quale taglia il pane per i suoi poveri e opera i malati del suo lebbrosario . Sul petto della tunica la grande croce rossa dell’Ordine dei Camilliani. Fu quella croce – ci ha raccontato, rispondendo alla mia curiosità – che all’età di 11 anni lo ammaliò e lo convertì, misteriosamente e irrimediabilmente. Fino a quella età era stato il “guappo” del quartiere del porto, a Napoli, la disperazione dei suoi genitori. Per una di quelle misteriose casualità che permettono alla nostra vita di percorrere strade già scritte, nel 1967 è capitato in Burkina Faso. Doveva restarci solo qualche mese, da allora non ne è più tornato. Ha vissuto facendosi povero tra i poveri, ma lottando sempre e con tutti i mezzi (preghiere, battaglie, astuzie) per la loro dignità. Lasciò tutto “per avere il Tutto”, come lui stesso ci ha sottolineato. Ci ha condotti subito al suo “vedovario”, dalle sue 400 “mogli”. La struttura accoglie 400-500 reiette, vedove e per lo più anziane, divenute ormai un peso per la comunità e per questo scacciate dai loro villaggi. Sono le cosiddette “streghe” o, come le chiamano in Burkina, “quelle che ti rubano l’anima”, ritenute responsabili di epidemie, morti sospette, malefici, condannate alla emarginazione, alla solitudine, alla morte per fame e per sete.
A noi, di certo, streghe non sono sembrate. Perché, mentre passavamo rapiti dalle parole di Padre Vincenzo e mentre Anna Maria distribuiva caramelle, loro ci sorridevano accoglienti e ci salutavano con applausi. Loro che applaudivano noi!
E noi, tutti, che avremmo voluto sprofondare.
L’anima, invece, ce l’hanno rubata davvero. Perché, dopo averle conosciute, senti che la scala dei tuoi valori si inverte, che non puoi essere più lo stesso, che nulla potrà essere più come prima.
Grazie, Padre Vincenzo, per tutto quello che fai, per le parole d’amore che ci hai regalato, per le lacrime che sgorgavano ostinate dai tuoi occhi mentre le dicevi.
Nel lasciarti, le patacche scure sulla tua tunica grigia non erano più macchie di sporco, ma medaglie al coraggio e alla dignità disegnate a fuoco vivo sulla tua pelle.
Padre Vincenzo
